MIXELLANEOUS

By Alberto Zanchetta

Andrea Salvatori mette alla berlina le “innocenti” statuine che affollano i mercatini e le vetrine degli antiquari, facendosi beffe dello stizzoso Winckelmann allorquando accusava la ceramica d’essere «quasi sempre usata per fare stupide bamboline». L’inezia di queste statuine, di evidente gusto kitsch, è prontamente sovvertita dall’artista, il quale dissipa l’indifferenza e la spensierata gaiezza delle comuni chincaglierie facendo ricorso a spargimenti di sangue, a irrefrenabili pulsioni erotiche o a ironici/irreverenti paradossi (che non di rado sfociano in veri e propri parossismi). Oltre a tingersi di preziosi accenni policromi, le diafane maioliche si sottopongono infatti all’interpolazione – sempre imprevedibile – delle terraglie invetriate, mésalliance con cui l’artista esprime il suo humour squisitamente grottesco.

Salvatori è l’autore di una lunga progenie di pachidermi, di mostri e di automi cibernetici che sono i testimoni/vittime designati di caustici aforismi. Sketchs intrisi di quel cinismo che abbiamo visto proliferare a macchia d’olio durante tutto il Novecento; cinismo che Ambrose Bierce ha definito essere una visione oggettiva, in grado di far vedere alle persone le cose come sono e non come dovrebbero essere. Volenti o nolenti viviamo nei veleni e nella nequizia della quotidianità, motivo per cui Salvatori ama setacciare i luoghi comuni per disconoscerne il sensus genericus. L’artista opta semmai per l’infinita capacità della doppiezza (l’assurdo non fa forse da pendant con la realtà?).

Molti elefanti si sono succeduti nella ricerca dell’artista, meritano quindi d’essere ricordati quello con le ballerine che si dilettano/titillano con la proboscide e l’enorme fallo dell’animale, oppure i due pachidermi che si destreggiano in funambolici esercizi circensi. Dopo anni di seducenti affreuseté, nelle ultime sculture di Salvatori si evince una ironia più sottile, più tagliante. Si veda in questo senso l’enorme stella che nasce come esalazione di un cavallino (altrove, stelle analoghe avevano infilzato l’occhio di una nobildonna, così come violato lo sfintere di un piccolo putto alato); il drago sodomizzato da una candela che supinamente – seppur malvolentieri – accetta d’essere usato come candelabro; lo scheletro umano deriso dalla celebre Linea di Osvaldo Cavandoli; il cane da guardia che dissuase gli astronauti da eventuali tentativi di allunaggio; il blocco di calcestruzzo che è “piovuto” su uno sventurato passante…. Tante, differenti, effusioni macabre per ridere delle paure collettive e delle contraddizioni imposte da un’assurda provvidenza.

Dissipando l’indifferenza e la spensierata gaiezza di sculture piene di grazia e civetteria, la Porzellankrankheit di Salvatori [di]mostra come l’affezione di una malattia possa diventare morbosa epidemia: sedizioso corollario di atrocità e di piccole storie in cui l’ordinario sfocia nel puro delirio aneddotico. Con grande nonchalance e perizia tecnica, Andrea Salvatori riesce a immergerci nel mondo dell’immaginazione; in totale apnea, rimaniamo a guardare (non senza un certo sadismo) come potrebbero andare a finire le sue storie…